Kalsched voce attuale di grande rilievo sul tema del trauma, distingue, proprio a proposito dei vissuti traumatici, “due tipi di sofferenza” (2013, p. 185).

L’autore ricorda qual è la “sfida” cruciale per il “pellegrino dell’analisi”, quella che porta a “rivisitare il trauma impensabile un passo alla volta, rivivendo l’emozione intollerabile entro una finestra di sopportazione, aiutato dalla funzione testimoniale, dalla compassione e dalla comprensione interpretativa del suo analista. Quando si riesce ad affrontare e superare questo doloroso processo, la natura della sofferenza cambia” (p. 185). Sulla scorta di considerazioni come questa, è possibile delineare il profilo di una sofferenza che deriva da “un mondo interiore fatto a pezzi” (Kalsched, 2013, p. 187) che è dunque, in questo senso, sofferenza “diabolica”, in quanto strappa, divide, separa una parte innocente, vulnerabile, autentica di sé da esperienze indicibilmente dolorose che hanno preso d’assalto e soverchiato le normali difese della persona e la sua capacità di metabolizzare tali eventi di vita dando loro un senso. Tale sofferenza è “nevrotica”: è il dolore del prigioniero che più tenta di sfuggire ai suoi carcerieri, di lasciare il suo “inferno”, e più ne rimane vincolato.

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