Mi imbatto per ben due volte, nel giro di una quindicina di giorni, nel romanzo breve di Herman Melville “Benito Cereno”, che non mi era mai capitato di incontrare, prima citato nel recente <ilm di Francesca Archibugi “Il nome del <iglio” (adattamento della pièce “Le prenom” di Alexandre De La Patellière e Matthieu Delaporte) e poi nel testo “Studi sull’ombra” di Mario Trevi e Augusto Romano. Decido quindi di cogliere la “musica del caso” che sembra ripropormi questo testo quasi fosse qualcosa che è necessario che io consideri, legga, veda.

Pubblicato a puntate sul Putnam’s Monthly nel 1855 e compreso l’anno successivo nei “Piazza Tales” (“I racconti della veranda”), è descritto da Cesare Pavese nella sua nota introduttiva come “uno degli ultimi guizzi creativi tentati dalla fantasia di Herman Melville” prima del lungo silenzio nel quale il narratore entrerà dal 1857. In questo “febbrile crepuscolo” Melville scrive quella che è “anzitutto una storia di mare”. Scrive di quel mare che sembra avergli “invasa tutta l’anima”, di quel mare che è in questa opera: “la sola forma sensibile che agli occhi di Melville possa degnamente incarnare il cupo e ironico nocciolo demoniaco dell’universo” .

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